FE.D.A.E. CEUQ AL GOVERNO: STOP AD ACCERTAMENTI PER DIPENDENTI AMBASCIATE

La FE.D.A.E. CEUQ Funzione Pubblica, organismo sindacale che tutela i lavoratori delle ambasciate straniere in Italia, scende di nuovo sul piede di guerra con il Governo per chiedere che siano temporaneamente sospesi gli accertamenti e le riscossioni per questi dipendenti fin quando non sia stato ridefinito il assetto fiscale e tributario della loro tassazione.

Con una dura lettera Orazio Ruggiero, segretario generale della FE.D.A.E. CEUQ, ha inoltre chiesto che «il Ministero del Lavoro adotti una necessaria riforma dei diritti di tali lavoratori (senza attendere il rinnovo della “disciplina”) che preveda l’obbligo per le ambasciate e i consolati stranieri in Italia di sottoscrivere direttamente o per il tramite di un’associazione di categoria, un vero e proprio contratto collettivo nazionale per le stesse vincolante».
La questione determina «una situazione inaccettabile la cui responsabilità deve individuarsi nella concessione da parte dello Stato italiano di inammissibili privilegi che permettono alle ambasciate straniere di non pagare le tasse sul lavoro in Italia, diversamente da qualsiasi datore di lavoro pubblico o privato che abbia sede in Italia, e di far scaricare l’enorme peso delle stesse sui lavoratori», ha spiegato ancora Orazio Ruggiero.

«Per anni, infatti, ai dipendenti di tutte le ambasciate e consolati presenti in Italia sono stati versati stipendi che venivano indicati come netti nelle loro buste paga consegnate, inducendo i lavoratori in perfetta buona fede a ritenere che, al pari di ogni lavoratore dipendente, fosse il datore di lavoro ad applicare la ritenuta alla fonte su tali retribuzioni. A nessun lavoratore è mai stato comunicato dai datori di lavoro, né in sede di assunzione, né nel corso del rapporto di lavoro, che in modo del tutto anomalo avrebbero dovuto loro provvedere al pagamento le imposte sul lavoro. E si intuisce anche la ragione di tale opacità informativa da parte delle ambasciate e consolati poiché diversamente difficilmente avrebbero trovato lavoratori italiani disposti a lavorare per uno stipendio lordo e per giunta senza alcun diritto!!», ha precisato.
Nella sua denuncia il segretario generale della FE.D.A.E. CEUQ, ha annotato che in questo scenario «la beffa oltre al danno non si consuma solo sul versante fiscale ma anche quando ci si sposta sul versante dei diritti che normalmente vengono riconosciuti a tutti i lavoratori, meno che a questi lavoratori. Se era noto che un dipendente di un’ambasciata o consolato che venisse licenziato anche ingiustamente non potesse ottenere la reintegra nel posto di lavoro, era però pacifico che in ragione dell’immunità ristretta di cui godono tali enti stranieri nel nostro Paese – ma ridimensionata dalla nostra Corte di Cassazione vista l’assenza pressoché totale di argini allo strapotere che tali enti stranieri pretendevano anche nelle loro sedi extraterritoriali -, il lavoratore poteva ottenere un ristoro economico/risarcitorio per l’ingiusto licenziamento patito e per il sacrificio di non poter ottenere una pronuncia di condanna da parte del giudice italiano ad essere reintegrato nel posto di lavoro. Parimenti era possibile per il lavoratore italiano dipendente di tali enti, rivolgersi al giudice italiano senza il rischio di incorrere in pronunce di difetto di giurisdizione, per questioni attinenti ad aspetti patrimoniali del rapporto di lavoro, come ad esempio il mancato pagamento di straordinari, ferie non godute, omesso pagamento del TFR, ecc.».
Ruggiero ha inoltre denunciato che «anche questi diritti, che oggi nel nostro Paese possono ritenersi ‘acquisiti’ e inviolabili per ogni lavoratore, vengono invece sistematicamente violati sotto gli occhi delle autorità di Governo» per i lavoratori delle sedi diplomatiche estere in Italia.
Insomma, ha concluso il dirigente sindacale, «se da una parte lo Stato italiano esige da questi lavoratori il rigoroso rispetto dei doveri fiscali, dall’altro nega loro ogni diritto di fronte alla sistematica violazione dei più elementari diritti del lavoro, come ad esempio il divieto assoluto di esercitare attività sindacali, da parte dei datori di lavoro. Non è ammissibile nel nostro ordinamento giuridico e in un Paese che dice di essere democratico che esista una ‘categoria’ di lavoratori italiani e non che abbia solo doveri e nessun diritto!».
Fonte: https://www.giornalediplomatico.it/

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